Il monismo è una concezione dell’essere che si contrappone a quella del pluralismo e a quella più diffusa del dualismo ed esprime il concetto filosofico di sostanziale unità dell’Essere.
Un esempio particolare di monismo è l’olismo fisico tipico delle filosofie orientali come il Vedanta indiano e il Taoismo cinese.
Le concezioni moniste non negano la molteplicità, ma la considerano manifestazione di un unico Essere che ne è origine e scopo; secondo questa visione, la molteplicità fenomenica e il dualismo percepiti dagli esseri umani sono solo il frutto di una parvenza illusoria.
Solo l’unità, che è nel contempo totalità, ha infatti sostanza.
Nello Shivaismo, la natura non presenta alcuna distinzione tra mente e materia, e l’intera realtà è una costruzione illusoria, costituita essenzialmente dalla mente divina di cui tutto è manifestazione.
L’esempio classico di monismo in occidente (sorprendentemente similare al non-dualismo shivaista) è la filosofia di Spinoza, per cui oltre Dio non si può dare né concepire alcuna sostanza.
Con l’“Etica”, la sua opera più famosa, Spinoza si propose di risolvere le incongruenze della filosofia cartesiana e conciliò il dualismo mente/corpo facendo di Dio la causa immanente della natura.
Spinoza intendeva proporre la sua stessa filosofia come un modo per “attraversare la vita non con paura e pianto, ma in serenità, letizia e ilarità”; il fondamento teorico della sua teoria è la dimostrazione di un determinismo radicale, cioè tale da non lasciare alcuno spazio all’io inteso come soggetto autodeterminantesi.
La dottrina etica di Spinoza presenta punti di contatto con lo stoicismo perché si propone il dominio della ragione sulle passioni ma, a differenza degli stoici, per Spinoza il mondo è Dio e ha realtà solo in Dio e non in se stesso.
La vita stessa di Spinoza, con il rifiuto di beni finiti e il distacco da ciò che presenta la sorte, testimonia la volontà di raggiungere con certezza questo bene vero ed eterno.
Per Spinoza, la realtà nel suo complesso è pienamente intelligibile: non c’è nulla che possa a priori essere considerato inconoscibile; tuttavia, ciò non significa che gli uomini possano godere di una conoscenza adeguata innata, al contrario, essi sono per lo più schiavi di conoscenze inadeguate, sorte dall’azione delle più disparate cause esterne che li portano a immaginare un gran numero di cose senza conoscerle affatto.
Per elevarsi a una conoscenza adeguata della realtà, l’uomo deve quindi contenere la prepotenza dell’immaginazione e cercare di guadagnare una visione adeguata di Dio stesso, cioè del fondamento ultimo di tutta la realtà, immanente a essa come a tutte le sue manifestazioni.
L’uomo ha lo strumento della ragione per capire, ma questo è uno strumento limitato: la ragione è sufficiente per fornirci alcune importantissime conoscenze adeguate (tra cui la stessa idea di Dio come sostanza eterna, infinita, unica e immanente a tutte le cose) tuttavia risulta cieca davanti alla natura singola e unica di ciascuna di queste cose.
Se la ragione è insufficiente, l’uomo ha però un altro strumento che gli consente di cogliere la conoscenza in modo immediato: questo strumento è l’intuizione, con cui possiamo arrivare al culmine del processo conoscitivo, possiamo cioè arrivare a Dio.
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